Raminga vedo vagare l’anima mia su spiagge chiare, sola d’umane genti.
S’annusa odore d’oro scolorito, un sole bianco sale su nel cielo.

Non v’é passione di tramonto, rosso riflesso di onde e sangue 
che brucia sulla pelle l’addio del giorno e tutto il suo tormento. 

Vi è luce fioca di mattino, calma piatta, 
liscia e tranquilla come carne di bimbo, e altrettanto dolce. 

E, d’improvviso, con la fredda opacità di un vento che non c’è, 
da quell’essenza che si confonde con la sabbia 
un grido di fuoco brucia fin nei miei polmoni e nel cuore mio si spezza. 

E, come il riverbero di un eco, 
l’urlo azzurro di un gabbiano spazza sull’acqua un bianco planar d’ali: 
per un solo attimo increspa la calma dell’oceano. 

Sola, sulla sabbia, piange quella presenza trasparente;
neanche increspa dell’uomo l’indifferenza, piatta come mare senza vento. 

Indifferenza, dea dalle vesti apatiche
che ai bimbi preclude i giochi e sulle spalle, per ricordo, 
incide cicatrici da cui le ali non cresceranno mai.

 

Giugno 1994

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